Il cambiamento climatico provocato dalle attività umane è uno dei fenomeni più documentati e studiati dalla comunità scientifica. Eppure, nonostante le evidenze, il negazionismo climatico persiste. Perché?

Le ragioni sono molteplici e intrecciate tra loro. Comprendono fattori economici, psicologici, politici e comunicativi che, insieme, contribuiscono a mantenere lo status quo e a ostacolare l’azione collettiva.

Interessi economici

Le industrie dei combustibili fossili — tra le più potenti al mondo — hanno investito per decenni in campagne di disinformazione per seminare dubbi e ritardare regolamentazioni ambientali. Mantenere l’attuale sistema economico basato su fonti fossili è più redditizio nel breve termine, e il cambiamento spaventa chi teme di perdere privilegi e profitti.

Meccanismi psicologici di difesa

Il cervello umano fatica a elaborare minacce astratte, sistemiche e a lungo termine come il cambiamento climatico. Non vedendone gli effetti immediati nella quotidianità, molte persone attivano meccanismi di rimozione, diniego, minimizzazione e razionalizzazione. Questo serve a evitare l’ansia e il senso di impotenza (nota come ecoansia) che deriverebbero dal dover affrontare la gravità del problema e cambiare radicalmente stile di vita.

Disinformazione e propaganda

Le campagne organizzate di disinformazione hanno promosso l’idea che la scienza del clima sia incerta o divisa. Hanno amplificato le voci di una minoranza di scienziati “dissidenti” — spesso non esperti in climatologia — per simulare un dibattito scientifico inesistente. Questo ha confuso l’opinione pubblica e rallentato l’azione collettiva.

Polarizzazione politica e ideologica

In molti paesi, soprattutto negli Stati Uniti, il cambiamento climatico è diventato un tema politico polarizzato. L’adesione o il rifiuto delle evidenze scientifiche spesso dipende dall’ideologia conservatrice o populista, più che dai dati. L’identità di gruppo e l’affiliazione politica possono prevalere sui fatti oggettivi.

Difficoltà nella comunicazione scientifica

La scienza, per sua natura, è complessa e prudente. Questo rende difficile comunicare l’urgenza del problema in modo accessibile. I negazionisti, al contrario, offrono narrazioni semplici e rassicuranti, che trovano più facilmente spazio nei media e nella mente delle persone.

Inerzia e paura del cambiamento

Cambiare è difficile. Richiede uno sforzo collettivo e individuale, e mette in discussione abitudini consolidate. È più comodo credere che il problema sia esagerato o che ci sia ancora tempo, così da mantenere lo status quo senza sensi di colpa.

In questo nuovo episodio della rubrica Dataroom del Corriere della Sera, Milena Gabanelli analizza le vere cause che rallentano la transizione energetica in Italia. Nonostante gli obiettivi europei e le tecnologie disponibili, il nostro paese continua a ostacolare lo sviluppo di impianti eolici e fotovoltaici. Il risultato? Bollette più care, dipendenza energetica e occasioni mancate. Guarda il video per scoprire chi ci guadagna e chi ci rimette davvero.

L’Italia ha l’elettricità più cara d’Europa, eppure la transizione energetica verso fonti rinnovabili come eolico e solare procede a rilento. Nel 2024, il 49% dell’energia prodotta nel nostro Paese è arrivata da fonti rinnovabili, ma siamo ancora lontani dall’obiettivo del 63,4% fissato per il 2030 dal Piano Nazionale Energia e Clima (Pniec).

Perché siamo in ritardo?

Nonostante oltre 2 milioni di impianti fotovoltaici e più di 6.000 eolici installati, l’Italia cresce più lentamente rispetto ad altri paesi europei. Le cause principali:

  • Burocrazia e caos normativo: oltre 30 norme e decreti in 10 anni, con Regioni che spesso bloccano o rallentano i progetti.
  • Opposizione locale: 120 comitati attivi contro gli impianti a terra, spesso sostenuti da amministrazioni locali.
  • Sabotaggi: negli ultimi 16 mesi si sono verificati almeno 7 atti vandalici contro impianti eolici e fotovoltaici.
  • Incertezza per gli investitori: anche con incentivi e autorizzazioni, i tempi medi per realizzare un impianto superano i 5 anni.

Le accuse alle rinnovabili, le critiche più frequenti sono:

  1. “Rovinano il paesaggio” – Ma secondo il Politecnico di Milano ci sono 700 km² di aree dismesse o agricole inutilizzate adatte a ospitare impianti senza impattare sul paesaggio.
  2. “Inquinano” – In realtà, un impianto fotovoltaico da 1 MW richiede 200 tonnellate di materiali, ma produce energia pulita per 30 anni. Una centrale a carbone, per la stessa energia, consuma 14.000 tonnellate di combustibile.
  3. “Non conviene” – Al contrario: secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia, il costo per MWh è di 50-60 dollari per solare ed eolico, contro i 205 del gas e i 170 del nucleare.

Chi ci guadagna e chi ci rimette?

Le aziende energivore come Ferrovie dello Stato stanno già acquistando energia verde a lungo termine a prezzi inferiori rispetto al mercato. Ma se la transizione rallenta, a pagare il conto saranno famiglie e imprese, con bollette più alte e meno competitività.

La transizione energetica non è solo una questione ambientale, ma anche economica e sociale. Ostacolarla significa rinunciare a risparmi, posti di lavoro e indipendenza energetica. È tempo di scegliere da che parte stare.

Fonte:
Reportage pubblicato su Corriere della Sera nella rubrica Dataroom di Milena Gabanelli.


Link articolo:
https://www.corriere.it/dataroom-milena-gabanelli/attacco-a-eolico-e-solare-chi-paga-davvero-il-conto/d239f7ac-7432-4697-9306-39bd0e3a4xlk.shtml

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